giovedì 12 marzo 2009

Un racconto che scrissi io su Venezia

Correva, a più non posso, sentiva il cuore pulsare, sentiva mancare il respiro. La gola secca e bruciante per il freddo. La pelle umida per il sudore e la pioggia. Rallentò un poco la corsa nel salire in vaporetto, per non rischiare di scivolare sulla brina. "Grazie" disse al marinaio.

Ancora col fiato corto entrò in cabina, il vapore acqueo disegnava ogni suo respiro, la faceva sentire ancora più isolata nel vaporetto quasi vuoto, vista l'ora tarda. Due o tre persone erano sedute nei primi posti, Lei si sedette verso la poppa, lontano dal brusio, vicino al finestrino.

Alla fermata successiva salirono molte persone, tutte vestite in stile settecentesco, tutte zuppe per l'acquazzone improvviso; il brusio si fece più forte: si fece chiacchierio, si fece confusione. Mai tranquilli coi propri pensieri, si disse. Lei osservò le persone attraverso il riflesso del finestrino, le osservava illuminate dai neon, spettrali: immagini di un passato veneziano nel pieno declino della sua gloria, che sembravano camminare sull'acqua, apparivano in piedi sulla gondola, in procinto di scendere. Notò qualcosa di strano: un ombrello moderno. Le persone non volevano rinunciare alla comodità quotidiana. Lei sorrise.

Con ancora il sorriso sulle labbra volse lo sguardo altrove: vedeva scorrere le gocce di pioggia sul finestrino, prendere direzioni diverse e imprevedibili. La sua immagine, debole come quella di un fantasma, le si presentò davanti. Ora, le gocce di pioggia sembravano rigare le guance di quel volto riflesso: il suo. Eppure lo sguardo di Lei andò oltre a quell'immagine speculare: pioggia incessante bucherellava l'acqua della laguna e copriva di un velo grezzo i palazzi settecenteschi del Canal Grande, le luci tremavano sullo specchio dell'acqua. Tutto sembrava così distante…così lontano…Lei si sentì spettatrice della realtà e quel finestrino, per un poco, diventò il suo occhio sul mondo.

Immaginò suo figlio con gli stivali da pioggia, giocare e saltare nelle pozzanghere; Lei poté quasi sentire le sue graziose risate, i lamenti per non voler tornare a casa. Lo immaginò seduto accanto a lei, insistente nel chiederle ogni secondo se fossero arrivati. Le sembrò di ascoltare le sue domande, i suoi "perché" su tutto quel che vedeva, che lo circondava, quei "perché" che cominciavano a farlo crescere, e che mettevano in difficoltà ogni madre.

Iniziò a pensare come sarebbe stato da grande, che amici avrebbe avuto, che scuole avrebbe scelto, che tipo di ragazza gli sarebbe piaciuto; chissà quale sarebbe stato il suo lavoro, e se avrebbe fatto carriera, e… chissà se mia madre, a sua volta, si pose tutte queste domande, si costruì tutti questi "se". Tornò al presente, sempre più preoccupata: il bambino che aveva in grembo da alcuni giorni non dava segni e dal mattino Lei stava male. Era sola a casa, aveva chiamato il pronto soccorso: non c'erano ambulanze disponili al momento, e ora c'era il cambio del personale; insomma, doveva essere lei stessa a recarsi. Forza, ancora qualche fermata!

"Non arrenderti proprio ora!" Sussurrò con lo sguardo fisso al ventre: sotto il cappotto, il maglione, la dolcevita, c'era la creatura a cui si rivolgeva. Ma quella frase la diceva più a se stessa. Come in risposta il vaporetto si attraccò bruscamente all'imbarcadero, i vetri tremarono rumorosamente.

Una signora anziana le si sedette accanto. "Che attracco! Non se pol star in pie!" disse sorridendo, con accento buranello, a Lei, la quale rispose con un cenno, distrattamente.

"Sa quando ero giovane, anch'io ho avuto una gravidanza difficile! E a quei tempi non c'erano tutte le medicine che ci sono adesso!"

Lei la guardò perplessa. La signora la guardò fissa negli occhi, assomigliava molto a sua nonna.

"L'ho capito da come guardava la pancia e da come tiene le mani appoggiate sopra! Sta andando all'ospedale?"

"Sì, è da un po' che non si fa sentire!"

"Forse, è da un po' che TU non ti fai sentire!"

Lei pensò a quella frase, in effetti, era un periodo difficile per lei e si era chiusa in se stessa. Accarezzava il ventre dolorante, guardò fuori dal finestrino, aveva smesso di piovere e le nuvole cominciavano a lasciar spazio alla luce lunare. Ma cosa ci fa una persona così anziana fuori a quest'ora? Si voltò per chiederlo direttamente alla signora, ma non c'era più.

I vetri vibrarono, il vaporetto stava facendo manovra: la fermata dell'ospedale.

Lei si alzò. Percorse in lunghezza tutto il vaporetto e scese. Camminò a zig-zag per evitare le pozzanghere. I raggi lunari le illuminavano una a una, come fossero stelle cadute per indicarle il percorso da fare.

potete vederlo qui

6 commenti:

  1. E bello il racconto e cliccando sul link di fine pagina mi sono ritrovata a leggere il tuo racconto nel sito dell'actv. Sono poi entrata nella home page dell'actv e ho avuto come un brivido, ricordi sparsi.....
    Viviana

    RispondiElimina
  2. Mi sono immedesimata nel tuo racconto, peccato che nel momento più bello sia stato interrotto?!?!
    Voglio pensare che tutto sia filato liscio.
    Buona domenica

    RispondiElimina
  3. Il tempo per un messaggio e minimo quando lo si desidera. Questo blog e VENESSIA.COM, mi portano un qualche cosa che non saprei descriverti, un tuffo in un mondo che in un passato appartiene anche a me. Io sono di origini veneziane per metà e qua dentro riaffiorano alla mia mente ricordi di un passato che avevo perduto. Grazie per il mio link che vedo qua dentro, mi onora tantissimo.
    Buona serata e buona vita
    Viviana

    RispondiElimina
  4. Perdona se mi permetto ma il codice che hai messo per farti lincare (addiovenezia) nei blog e incompleto, io l'ho sistemato e adesso funziona. Se vuoi te lo spedisco via mail.
    Da me e visibile il tuo link.
    Viviana

    RispondiElimina
  5. Permettiti pure :) ! inviamelo pure per e-mail a formazionevenezia@gmail.com GRAZIE MILLE!

    RispondiElimina

Related Posts with Thumbnails